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L’incubo senza fine dei Siriani. Asmae Dachan, giornalista professionista freelance italo-siriana riporta le voci raccolte da giornalista non-embedded in Siria e l’importanza della narrazione non ufficiale

di Francesca Rizzo

Pur essendo nata e cresciuta in Italia, Asmae Dachan, giornalista italo-siriana, avverte un legame forte con il Paese d’origine, tanto da nutrire il bisogno, da sempre, di sentir raccontare dai genitori com’è fatto quel misterioso territorio, che non ha mai visto con i propri occhi fino al 2013. La reticenza dei suoi congiunti, oppositori del regime, timorosi di scoperchiare quello che la giornalista stessa definisce un “vaso di Pandora”, l’ha accompagnata per tutta l’infanzia: un modo per proteggere la bambina Asmae dalla cruda realtà di un Paese sotto dittatura. È la donna, la giornalista Asmae Dachan a decidere di andare oltre i racconti, di approfondire quella cruda realtà. Ma scoprirla non è facile, bisogna scavare oltre le mistificazioni di regime.

Il muro di informazioni false e strumentalizzate è crollato sotto il peso della Primavera araba, un’ondata di protesta senza precedenti che ha attraversato il Medio Oriente: “Quello che accade nel 2011 è una cosa per noi Siriani storica: viene per la prima volta sconfitta, dopo quasi cinquant’anni, la paura. La paura è qualcosa di terribile, la paura è qualcosa che censura, qualcosa che limita, è qualcosa che ti fa trattenere dal denunciare”. Fioccano invece le denunce da parte di giornalisti ed attivisti, locali e non solo: a loro si unisce la voce dei cronisti stranieri che attraversano clandestinamente le frontiere siriane per raccontare la verità. Una di loro, Marie Colvin, perde la vita nel febbraio del 2012, mentre trasmette in diretta, tramite un telefono satellitare, l’assedio della città di Homs, dove le autorità siriane bombardano i civili. Questa morte assurda segna profondamente Asmae Dachan, spingendola a partire per conoscere, finalmente da vicino, la Siria: “Dicevo: «È vergognoso che io, come Siriana, sia qui a raccontare da dietro uno schermo, attraverso questi contatti, ciò che accade in Siria e che loro, che sono stranieri, muoiano in Siria»”.

Dachan 2

Nel 2013 la giornalista raggiunge per la prima volta la Siria, entrando clandestinamente nel Paese dal confine turco. La realtà che deve affrontare è qualcosa di sconcertante: una tendopoli abitata da sfollati siriani, priva di corrente elettrica ed acqua potabile. L’unica assistenza che uomini, donne e bambini ricevono è quella delle organizzazioni umanitarie che si muovono lungo il confine: come spiega Asmae Dachan alla platea del Forum delle Giornaliste del Mediterraneo, le tendopoli all’interno dello Stato non sono equiparabili ai campi profughi oltre confine, non ricadono sotto l’egida dell’ONU e dunque non beneficiano di alcun aiuto da parte dell’Organizzazione.

Manca l’igiene, mancano i servizi, manca il cibo: questo il contesto in cui si svolge ogni giorno la vita degli sfollati siriani. E ciò che più stupisce Dachan è la nascita costante di bambini: “Con che coraggio – si chiede e chiede a chi la circonda – queste donne, in situazione di guerra, continuano a mettere al mondo dei figli?”. La risposta più forte arriva da una di quelle donne, che Asmae Dachan, sfruttando la capacità di parlare l’arabo con inflessione siriana, è riuscita ad avvicinare: “Volete toglierci il diritto di continuare a vivere, il diritto di continuare a sperare nella vita?”.

Oltre a raccogliere la voce degli abitanti delle tendopoli, Asmae Dachan cerca di conoscere le condizioni in cui versa tutto il Paese. Visita Homs, la città in cui è morta Marie Colvin, ed Aleppo. Qui la repressione nei confronti degli oppositori, in gran parte giovani, è durissima: attacchi continui e rastrellamenti persino negli ospedali, per annientare i manifestanti feriti durante cortei pacifici. Tolleranza zero nei confronti di chiunque osi protestare, nonostante nell’aria si avverta il sentore di un pericolo più grande: la presenza latente dei primi miliziani dell’Isis, che organizzano posti di blocco nella città che di lì a poco riusciranno a conquistare.

Ascoltare le voci dall’interno è sempre stato il metodo di lavoro di Asmae Dachan. Già prima di andare personalmente in Siria, Dachan è riuscita tramite la Rete a raccogliere le voci contrarie al regime, registrando gli sfoghi e facendo da cassa di risonanza oltre confine, in Occidente: “Il nostro lavoro – dice – è un passaggio di mano in mano: raccogliere la verità, raccogliere le testimonianze e cercare di denunciare”.

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La volontà delle autorità siriane di arginare l’ingresso clandestino di giornalisti stranieri nel Paese ha portato a maggiori controlli a partire dal 2014. Ecco perché Asmae Dachan e molti altri colleghi hanno coinvolto gli stessi cittadini siriani, fornendo istruzioni e strumenti (droni, macchine fotografiche) per far arrivare la loro voce autentica oltre confine: il citizen journalism ha mostrato potenzialità enormi già durante la Primavera araba, quando i manifestanti hanno sfruttato i social network, Twitter in particolare, per una cronaca degli avvenimenti in tempo reale. Mettere i loghi sui video e sulle foto, contestualizzare i video inserendo in apertura luogo e data in cui sono stati girati, sono alcuni accorgimenti che danno al lavoro dei citizen reporters la patina, indispensabile, della veridicità. Un altro metodo suggerito da Asmae Dachan è non enfatizzare inutilmente fatti di cronaca, cadendo nella mistificazione: “Se un bombardamento ha fatto due morti non c’è bisogno di dire venti morti per creare clamore: si dice due morti, punto. Non bisogna fare clamore”.

In un Paese già prostrato da anni di dittatura e guerra civile i cittadini che continuano a lanciare allarmi vengono trattati da terroristi, mentre i terroristi si comportano da autorità. I pochi convogli dell’ONU che cercano di prestare soccorso agli sfollati vengono bombardati: “Un tempo – commenta Dachan – si diceva «non si bombarda la Croce Rossa»… sì invece: in Siria si bombarda anche la Croce Rossa.”

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Mario Maffei

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