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Il Forum è nato dalla giornalista Marilù Mastrogiovanni ed è organizzato da Giulia Giornaliste e dalla cooperativa IdeaDinamica, con l’obiettivo di “creare ponti, abbattere muri: promuovere una riflessione sul giornalismo delle giornaliste investigative, come presidio di Democrazia, dunque di Pace”.

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La libertà di stampa nel lungo cammino verso la democrazia

La giornalista italo-tunisina affronta il ruolo chiave dei media nella rinascita del Paese, tra dittatura e terrorismo   

L’informazione è il proiettile più efficace: si potrebbe riassumere così l’intervento di Leila Ben Salah, giornalista professionista italo-tunisina che per Radio Bullets cura la rubrica “I gelsomini del Maghreb”. Oggetto della rubrica sono notizie provenienti dal Nord Africa e normalmente trascurate dall’agenda setting dei media italiani.

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Il discorso di Leila Ben Salah si muove sul filo conduttore della libertà di stampa, mostrando quanto sia importante comunicare, affrontare pubblicamente anche e soprattutto argomenti difficili, legati a periodi bui della storia di un Paese. È ciò che è avvenuto in Tunisia, ed è ciò che ha raccontato la relatrice al nutrito pubblico del Forum delle Giornaliste del Mediterraneo, parlando del progetto dell’Istanza Verità e Dignità, una commissione che ha raccolto ed esaminato oltre 62000 testimonianze di torture fisiche e psicologiche su prigionieri politici detenuti nelle carceri tunisine dal 1955 al 2013. La stessa commissione ha organizzato audizioni pubbliche, soffermandosi sulle atrocità compiute sotto il regime di Ben Ali, la dittatura più recente in Tunisia, spazzata via dall’ondata rivoluzionaria della Primavera araba. Storie agghiaccianti, quelle riportate da chi ha vissuto l’orrore in prima persona o ha provato il dolore della perdita di un familiare, aggravato dalle vessazioni e dalle prese in giro delle autorità: “Ha parlato anche la sposa di un martire della rivoluzione – riporta Ben Salah – morto sotto tortura nell’ottobre del 1991. Lei e la suocera lo hanno cercato dappertutto, negli ospedali, nelle prigioni, nei posti di polizia, lo hanno cercato per anni. Un calvario lungo anni, appunto, con l’aggiunta di una punta di sarcasmo da parte della polizia che continuava a chiamarle in caserma e a interrogarle, chiedevano dove si nascondeva Jamel… sapevano perfettamente che lui ormai era morto, però le prendevano in giro chiedendogli di svelare loro il nascondiglio”.

Questa ed altre testimonianze sono state raccolte in diretta televisiva nazionale: un passo determinante dopo anni di oscurantismo. In reazione alla censura dittatoriale la televisione non viene più imbavagliata, anzi diventa un megafono per far conoscere le aberrazioni compiute, per affrontare i fantasmi del passato: operazione non semplice, fa notare la giornalista, per un Paese arabo; “ed è molto importante che se ne parli – afferma la giornalista – (…) per far capire quanto il Paese sta camminando verso la democrazia, (…) la libertà di stampa è già un tassello molto importante”.

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L’informazione come strumento di liberazione, dunque, ma anche come arma preventiva. Leila Ben Salah parla dell’attivista tunisina Lina Ben Mhenni, candidata nel 2011 al Premio Nobel per la pace ed ideatrice di un progetto rivolto ai giovani connazionali detenuti: una raccolta di libri destinati alle biblioteche delle carceri. Scopo dell’iniziativa è diffondere la cultura in uno degli ambienti considerati “territorio di caccia” per i reclutatori dell’Isis. Ampliare gli orizzonti dei giovani, mostrare loro che una via alternativa è a portata di mano, è un modo per fronteggiare il terrorismo, piaga che ha nella Tunisia uno dei maggiori Paesi esportatori di foreign fighters.

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Mario Maffei

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